Con il diabete niente diete di moda

I regimi alimentari insoliti non sono indicati. E anche diventare vegetariani (o vegani) non è efficace, per questa patologia, quanto mangiare «mediterraneo»

Vegani, vegetariani, attratti dalla dieta paleolitica o da quella chetogenica (che azzera o quasi i carboidrati): i regimi alimentari degli italiani sono parecchio variegati, ma quelli “insoliti” sono adatti quando si soffre di diabete? Il problema non è secondario, perché i diabetici nel nostro Paese sono quasi quattro milioni, un altro milione lo è senza saperlo e circa tre milioni sono in una condizione di pre-diabete. In più, l’alimentazione è un pilastro fondamentale nella cura della malattia, oltre che nella prevenzione del diabete di tipo 2: così durante il suo ultimo congresso nazionale, la Società Italiana di Diabetologia ha presentato un documento-guida in cui si fa il punto sulle diete di moda o “estreme”, diverse dalla tradizionale dieta mediterranea, che si conferma la scelta migliore.

Le varie opzioni
«Adottarla significa ridurre la probabilità di diabete del 52% rispetto a una dieta “solo” povera di grassi — spiega Giorgio Sesti, presidente Sid —. Ricca di fibre provenienti da ortaggi, frutta e cereali non raffinati e povera di grassi di origine animale, può aiutare anche a dimagrire ed è molto vantaggiosa per il controllo del diabete e del rischio di malattie cardiovascolari». Altrettante certezze non sono possibili per la paleodieta e la dieta chetogenica (si veda paragrafo sotto, ndr) ma neppure per la dieta vegetariana o vegana, nonostante ci siano vari studi che ne sottolineano alcuni benefici: «Non ci sono dati a sufficienza per raccomandarle come valide e sicure alternative alla dieta convenzionale, servono ulteriori indagini — dice Sesti —. Tuttavia una dieta a base di vegetali è meno calorica dell’alimentazione occidentale standard ed è più saziante grazie alle fibre, per cui può prevenire sovrappeso e obesità; inoltre riduce l’indice glicemico dei pasti (valore che indica quanto sale la glicemia dopo mangiato, ndr), apporta nutrienti preziosi ed eliminando i grassi saturi della carne ha effetti positivi sul rischio cardiovascolare».

Tornare «primitivi» non è la soluzione
Gli uomini primitivi forse non si ammalavano di diabete. Allora perché non mangiare come loro, cioè solo quanto si può cacciare o raccogliere? Il risultato è una dieta iperproteica (senza latticini) e ricca di fibre: secondo gli studi aumenta sazietà e sensibilità all’insulina, ma è adatta ai diabetici? «Servono più dati per essere certi delle conseguenze sulle malattie croniche, oltre che sui possibili effetti avversi, ma i vantaggi dimostrati non sembrano mantenersi a lungo e la mancanza di latticini potrebbe interferire col metabolismo del calcio», scrivono i diabetologi Sid nel documento sulle diete. Giudizio sospeso e cautela anche per la dieta chetogenica, a bassissimo contenuto di carboidrati, ma ricca di grassi e senza limitazioni caloriche: «Insulino-resistenza e parametri glicometabolici migliorano, ma aumentano colesterolo “cattivo” e trigliceridi. Nel breve può aiutare a dimagrire, se protratta può causare episodi di cheto-acidosi metabolica (eccesso di corpi chetonici che porta disidratazione, aritmie e sonnolenza, ndr)», concludono gli esperti.

Vegetariani e vegani
I semi-vegetariani che mangiano latte, uova e latticini meno di una volta a settimana ma più di una volta al mese, secondo uno studio statunitense condotto su oltre 60mila persone, hanno un rischio di diabete più basso del 24% rispetto ai non vegetariani e il pericolo scende a meno 30% nei pesco-vegetariani, che si concedono il pesce, e a meno 46-49 % nei vegetariani e vegani. Considerando che queste diete riducono anche ipertensione e colesterolo, fattori di rischio molto pericolosi nei diabetici, non sarebbero allora da consigliare a tutti i pazienti? «Sono regimi che non possono essere proposti facilmente a chiunque — risponde Sesti —. L’alternativa più simile e adeguata resta la dieta mediterranea vera, quella dei nostri nonni, con poca carne e tanti vegetali: migliora la glicemia a digiuno e la sensibilità all’insulina e, se è ipocalorica, fa dimagrire con un effetto che si mantiene negli anni».

Pregi della dieta mediterranea
Gli studi Sid hanno dimostrato ampiamente gli effetti positivi di tanti cibi tipici della dieta mediterranea, dall’olio d’oliva che “lima” i picchi di glicemia dopo i pasti, al pesce azzurro che previene l’aterosclerosi proteggendo il rivestimento interno dei vasi sanguigni; i ricercatori italiani hanno anche dimostrato che questo regime alimentare spegne l’infiammazione e “ringiovanisce” le arterie. «Per i diabetici la dieta è una parte essenziale della terapia e quella mediterranea non è punitiva come molte altre, anzi — sottolinea Sesti —. Ciò che occorre evitare è il picco di glicemia postprandiale (subito dopo il pasto ndr) che danneggia i vasi aumentando il livello di infiammazione e di stress ossidativo: un insulto alle arterie che avviene tre volte al giorno in tutti noi, non solo in chi ha problemi di glicemia alta. Ecco perché tutti dovremmo seguire la dieta mediterranea: le fibre di cui è ricca infatti riducono il picco glicemico (si veda box in alto)», che si abbassa anche evitando gli alimenti che fanno schizzare verso l’alto il valore del glucosio nel sangue, ovvero quelli ricchi di zuccheri semplici (come per esempio dolci, marmellate e caramelle) o a base di cereali raffinati (pane bianco, pizza, pasta non integrale).

I carboidrati e la glicemia
Attenzione a non demonizzare i carboidrati, però: anche per i diabetici sono necessari in una quota giornaliera pari al 60% delle calorie. L’importante è optare per quelli complessi presenti in cibi come cereali integrali, legumi, vegetali. «Un altro trucco efficace per ridurre il picco di glicemia dopo i pasti è cambiare l’ordine delle portate, partendo da un secondo proteico o iniziando con un antipasto ricco di fibre e proteine — consiglia il diabetologo —. Questi nutrienti, infatti, rallentano lo svuotamento gastrico e quindi l’assorbimento del glucosio, mantenendo più “piatto” il profilo glicemico. Studi Sid hanno mostrato che con questa piccola accortezza il picco glicemico può ridursi anche del 30%, a parità di calorie e composizione del pasto».